La lingua Piemontese


In pòpul
bitèle a la cadéi-na
s-vestìle
stupèje la bùca,
a l'é ancùra lìber
Un popolo
mettetelo a catena
spogliatelo
tappategli la bocca,
è ancora libero
Gavèje el travàj
el pasapòrt
la taùla andù cu màngia
u lècc andù cu dreumm,
a l'é ancùra s-niùrr
Levategli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco
In popùl
u ven pòver e servitù
quande chiù rùbo el dialétt
adutó dai póre:
a l'é perdí per sémpre
Un popolo
viene povero e servo
quando gli rubano la lingua
adottata dai padri
è perso per sempre
U vèn pòver e servitù
quànde che el paròle
i fàn pì nént el paròle
e is màngio tra dl'ùrr
.......
Diventa povero e servo
quando le parole
non figliano parole
e si mangiano tra esse
.....

stralcio tradotto liberamente in linguaggio canellese
dalla raccolta: "Io faccio il poeta", 1982.
di Ignazio Buttitta, Bagheria (PA) 1899-1997

Questa piccola introduzione al linguaggio canellese è stata inserita per far capire quanto una lingua sia importante per un popolo che l'ha vissuta ed ha contribuito a costruita nel corso dei secoli.
Nel momento stesso in cui tale lingua non è più considerata utile e quindi non si rinnova costantemente, ha inizio la sua fase involutiva che la trascina inesorabilmente verso l'estinzione e con essa si porta tutta la cultura dei nostri padri.
Il linguaggio naturale è dunque la massima espressione dell'identità di un popolo, anzi è l'essenza dell'anima del popolo stesso ed assiomaticamente la vita di un'etnia continua fino a che continua ad essere parlata la sua lingua e, se questa muore, il popolo non ha più possibilità di esistenza.
La lingua piemontese (e di conseguenza il canellese) è quindi la massima espressione dell' identità del popolo piemontese (e canellese) stesso.
Ma come nasce questa lingua?
Fin dal II millennio a.C., tutta l'area padana occidentale, quindi il Piemonte, è abitata dai Liguri, un popolo pre-indoeuropeo che giunge dalla penisola iberica.
Il termine "Ligure" non ha comunque nessuna relazione con la Liguria attuale e va inteso in senso molto più ampio.
Dai Liguri e dal loro linguaggio restano per esempio i nomi di alcune località che ancora oggi terminano con il suffisso "asco-a" (Beinasco-Revigliasco-Grugliasco-Airasca ecc,) ma anche il nome della città di Asti ha le stesse origini, in quanto in ligure antico il nome "ast" aveva il significato di "collina".

Dal VII al VI secolo a.C. avvengono altre immigrazioni di un altro popolo di origine indoeuropea: i Celti.
Essi si uniscono ai liguri in una vera e propria simbiosi, senza alcuna lotta, amalgamando i costumi, le religioni ed i linguaggi.
Prende così corpo un nuovo popolo: i "Celto-Liguri".
Molti vocaboli di origine Celta sono ancora presenti anche nel canellese come

bialèra (corso d'acqua) dal celtico "beal"(corso d'acqua) e
bi_sa (vento freddo) dal celtico "Bis" (pungente)

I Celto-Liguri hanno i primi contatti con la civiltà latina nel III secolo a.C., quando giungono in Piemonte le legioni romane.
L'occupazione romana distrugge alcune tribù (i Salassi), ma le altre sopravissero.
Vari legionari si stabilirono in Piemonte e la lingua latina si innesta così sull'idioma celto-ligure.
Prende forma quindi un nuovo nuovo linguaggio che via via nel tempo riceve altre impronte, poichè attraverso i secoli il Piemonte è soggetto a molte altre invasioni barbariche.

Nel corso del VI secolo giunsero i Longobardi che contribuirono anche loro a modificare il linguaggio corrente; alcuni vocaboli ancora oggi presenti sono:

màsca (strega. fattucchiera) deriva dal longobardo "masco"
s-cianchè (strappare, lacerare) da "claquer".

Nel X secolo i Saraceni percorsero, facendo numerose scorrerie, in lungo ed in largo, la terra piemontese.
Anch'essi ci lasciarono dei vocaboli:

cuèfa (velo) da "Keifa"
faudòl (grembiule) da "fodhal"
fardél (fagotto) da "farda" (carico del cammello).

Dal XI al XVII secolo si susseguirono invasioni francesi, spagnole e prussiane.
L'influsso francese è forse il più evidente nel nostro lessico e nella nostra sintassi e non vale la pena soffermarci sugli innumerevoli vocaboli che queste due lingue hanno in comune.
Non si deve dimenticare anzi, che la lingua piemontese e quella francese sono due lingue gemelle; la prima si è formata su un nucleo celto-ligure. al di qua delle Alpi; la seconda su di un nucleo celto-gallico, al di la delle Alpi.
Anche gli Spagnoli lasciarono traccia del loro passaggio nel nostro idioma come:

leuiné_s, mòrte_s, mèrco..ecc (Lunedi, Martedi, Mercoledi ecc..).

Vocaboli invece di radice prussiana sono:

magòn (afflizione) da "Magen" (mal di stomaco)
brandè (bruciare) da "Brand" (tizzone)
a_sì (aceto) da "Essil"
ciòca (campana) da "Kloca"

Quanto sommariamente scritto dimostra chiaramente che la lingua piemontese è formata da un substrato celto-ligure su cui si è innestata la lingua latina; via via col tempo (e con le invasioni più o meno pacifiche) sono stati introdotti vocaboli di carattere europeo.
Il piemiontese è quindi da considerarsi una vera lingua e non un dialetto, perchè, come vedremo in seguito, ha una letteratura scritta e segue determinate regole grammaticali.
Accanto alla lingua unitaria ufficiale, consacrata dagli scrittori, vi sono le parlate orali locali (come ad esemio il canellese) che sono espressioni fonetiche diverse, le quali però seguono le medesime regole grammaticali, qualora vengano scritte.
La lingua scritta non è in opposizione alle parlate locali, anzi è arricchita da esse.
Il rapporto che c'è fra la lingua "ufficiale" piemontese e le parlate locali è simile a quello che c'è tra l'italiano scritto e le varianti locali della lingua italiana.

Riepilogando. il Piemontese è da considerarsi a tutti gli effetti lingua propria e non dialetto, tantomeno dialetto dell'Italiano.
Si è parlato di regole grammaticali scritte ed infatti la prima grammatica della lingua piemontese risale al 1783 ed è opera di Maurizio Pipino, che per primo ne ha normalizzato la grafìa.
Ad essa si ispira la grafìa "piemontese moderna" definita negli Anni Trenta dal fondatore della "Compagnia dij Brandé": Pinin Pacòt.

Senza scomodare cotanti Autori, abbiamo cercato di costruire un tentativo di grafia del canellese per indicare come tale linguaggio si possa scrivere senza utilizzare caratteri o suoni difficilmente comprensibili o, peggio ancora, riconoscibili.
Proviamo ad abbozzare un rudimentale schema di grafìa che possa aiutare:

Iniziamo dagli accenti:
sono stati posti gli accenti solo quando si possono creare dubbi sulla pronuncia della parola.
Oltre ai tonici (segnati con accento grave) sono indicati gli accenti acuti (é) in caso di vocale chiusa e gli accenti gravi (è) in caso di vocale aperta.

altre pronunce
eu suono alla francese
j suono prolungato della i
n-a suono velare o faucale che serve a raddoppiare la n
ö suono largo (sim.ò) della "o" solo quando essa precede la "n"
s-c trattino usato per staccare la s sorda dalla c
ü suono francese della "u"
èin desinenza maschile tipica canellese
èina desinenza femminile tipica canellese
cc per pronunciare una "c" morbida
ch per pronunciare una "c" secca
_s per pronunciare una "s" simile ad un ronzio
bb
dd per rimarcare il suono della consonante


A questo punto possiamo provare a riportare in "canellese" (con la relativa traduzione) alcuni proverbi o modi di dire che sono famosi dalle nostre parti:

èse muntó an sel bije quódre
(lett.) stare sulle biglie quadre - (sign.) non essere tanto a posto

cantè e purtè la cru_s
(lett.) cantare e portare la croce - (sign.) voler fare troppo

èse ciòrgno cume in tupèin
(lett.) essere sordo come un vaso da notte

óso vég, bóst neuv
(lett.) asino vecchio, bardamenti nuovi

tribinól, galèra e inférn, i sön duért anche d'invérn
(lett.) tribunali prigioni ed inferno, sono aperti anche d'inverno

a chi cu di_s la v-ritó sénsa s-chersé, còmprije in caval per cu peusa s-capè
(lett.) a chi dice la verità senza sherzare, compragli un cavallo perchè possa scappare

a l'é mej cunsimè del scórpe che di lanseu
(lett.) è meglio consumare dele scarpe che delle lenzuola

a l'é mej èse padrön d'na bórca, che capitan d'in vapur
(lett.) è meglio essere proprietario di una barca, che capitano di una nave

andè a cantè an t'in ótra curt
(lett.) andare a cantare in un altro cortile - (sign.) togliere il disturbo

andè cume ina bórca an t'in pus
(lett.) andare come una barca in un pozzo - (sign.) procedere con fatica

béiv el bön vèin e lósa che l'ócua la vóga al mulèin
(lett.) bevi il buon vino e lascia che l'acqua vada al mulino

bitè la cu-ua an mé_s al gambe
(lett.) mettere la coda fra le gambe - (sign.) andare via alla svelta

chi cu sméina güge cus pija guórdia d'andè des-càuss
(lett.) chi semina aghi, stia attento a camminare scalzo

con 'l teréin cintó, us rèsta ami_s invérn e istó
(lett.) con il terreno cintato si resta amici d'inverno e d'estate

cubiè la fam con la séj
(lett.) accoppiare la fame con la sete - (sign.) fare un cattivo affare

dal savéj ui riva l'avéj
(lett.) dal sapere arriva l'avere

Qesto è solo un piccolo assaggio: con il prossimo aggiornamento, cercheremo di aggiungere a questo elenco altri modi di dire e riporteremo anche alcune parole che descrivono arti e mestieri tipici del canellese.
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